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L’Europa è un po’ come lo specchio: ti dice chi sei e quanto vali. Il livello s’alza, il terreno è viscido, scivoloso e i protagonisti della Superlega, la peggiore idea mai prodotta nella storia dello sport mondiale, vanno a casa, uscendo dalla Champions League. Una figura magra per club dal grande spessore internazionale come Barcellona, Juventus e Atletico Madrid.

Fa sorridere che due dei tre club alla guida di un “colpo di stato” fallito in pochi giorni, siano già a casa. Il Barcellona è già certo della retrocessione in Europa League, la Juventus dovrà persino meritarsela all’ultima giornata contro il Paris Saint Germain seguendo cosa accade contemporaneamente in Maccabi Haifa-Benfica.

Il Manchester United non riesce ad uscire dall’inferno dell’Europa League e il Tottenham di Antonio Conte, altra big six inglese coinvolta in quei giorni di sbandamento, dovrà combattere fino all’ultima giornata con Sporting Lisbona, Eintracht Francoforte e Olympique Marsiglia.

Il cammino delle italiane in Champions League rivela identità e percorso. Il Napoli al momento è un capolavoro calcistico, colleziona record e soprattutto lo fa in maniera brillante. La “grande bellezza” di questo gruppo è il suo identikit camaleontico, la capacità di interpretare diversi stili di gioco: il Napoli più verticale con Osimhen, quello che esaspera il dominio del campo attraverso il possesso palla con Raspadori, la ricerca dell’ampiezza che sta capitalizzando con Simeone con il supporto di Di Lorenzo e Mario Rui.

L’Europa rivela quanto vale Spalletti, la predisposizione a non sedersi su ciò che fatto in carriera ma nel cogliere le innovazioni di Guardiola, Arteta, Tuchel e farle sue con gli esterni che vengono dentro al campo, i centrocampisti che invertono costantemente la loro posizione. La Champions racconta anche più del campionato il valore della disponibilità di questo gruppo che, senza le gerarchie trasmesse da un notevole vissuto storico, si è messo nelle mani del suo allenatore seguendone le indicazioni.

Il Milan ha una grande occasione, basterà non perdere in casa contro il Salisburgo per andare agli ottavi di finale. L’Europa rivela che il Milan ha un cuore enorme, va oltre gli ostacoli, può metterci un po’ di tempo ma conosce bene la sua strada. Ha un’identità solida e, in quella cornice, i singoli crescono. Lo confermano le storie di Leao, Tonali, Brahim Diaz, Calabria, sta venendo fuori anche Gabbia, si sta sbloccando Origi, verrà anche il momento di De Ketelaere. Pioli ha costruito la cornice dove poi vengono fuori le qualità di tutti, anche in questo caso la parola-chiave è disponibilità.

L’Inter ha le stesse difficoltà dell’anno scorso, vive momenti di black-out. Quando perde il percorso fornito dalla bussola, si smarrisce. Le squadre di Inzaghi sono così, devono riuscire a sviluppare il proprio gioco, altrimenti fanno fatica. L’Inter intanto ha buttato fuori il Barcellona dalla Champions League senza Brozovic e Lukaku, ha avuto la forza di tenere botta a San Siro in un periodo difficile e di trasformare quel successo nella “benzina” per ribaltare il cammino. Dal Camp Nou, l’Inter non si è più fermata, ha messo in luce crescita nel gioco e portato a casa i risultati, anche con un po’ di fortuna come a Firenze.

L’Europa rivale cosa è la Juventus: una squadra senz’anima, identità, un club svuotato dalla sua storia che ha smarrito il proprio ordine precostituito. Si trascina in un vortice nato con l’arrivo di Cristiano Ronaldo, il peccato capitale è aver messo un singolo davanti all’azienda a casa di chi storicamente ha posto sempre la Juventus al centro del mondo. Il declino è stato lento ma inarrestabile, caratterizzato dalla confusione tecnica dei cambi d’allenatore.

Ciò che accade oggi è ancora la lunga coda di quelle scelte, con l’errore di sopravvalutare Allegri, pensando che ciò che ha fatto con una delle squadre migliori d’Europa in quel momento storico potesse bastare per costruire una nuova era.

La Juve ha dei raggi di luce soltanto in tutto ciò che arriva dal proprio settore giovanile, poi, invece, ha un gruppo costellato di ombre: il calo di Cuadrado, il declino di Alex Sandro, le storie tormentate a livello fisico di Di Maria e Pogba, le condizioni in cui è arrivato Paredes.

È una squadra senza identità, che imbocca un sentiero diverso in ogni gara, ha pochissime certezze, concede tanto e crea poco soprattutto in relazione al patrimonio dei suoi uomini d’attacco. Ha ragione Allegri, non si tratta di un fallimento ma di un disastro: in sei anni la Juventus è passata dalla finale di Cardiff all’eliminazione ai gironi.

Ciro Troise

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